Parità di genere: dal pinkwashing alla pratica

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Negli ultimi decenni, la lotta per l’uguaglianza di genere ha compiuto significativi progressi all’interno del mondo del lavoro. È sempre più strategico, infatti, all’interno delle Organizzazioni, avere un approccio inclusivo che sappia riconoscere e valorizzare le diversità, per aumentare la propria produttività, l’interesse verso gli stakeholders e l’engagement aziendale.

Tuttavia, nonostante le conquiste raggiunte, siamo ancora lontani dall’ottenere una parità autentica e duratura. Molte sono ancora le sovrastrutture culturali, i bias cognitivi, modi di agire delle Organizzazioni stesse che “minacciano” il raggiungimento della parità di genere. Ne deriva infatti un fenomeno, il “pinkwashing”, che rischia di minare i progressi ottenuti finora dalle donne.

Cos’è il pinkwashing?

Pinkwashing deriva dalla crasi tra pink (rosa) e whitewashing (imbiancare, nascondere). Questo termine viene utilizzato per indicare azioni intraprese dalle Organizzazioni nei confronti delle donne e dei temi di cui sono portavoci. Letteralmente significa “nascondere con il rosa”, cioè, ricoprire di rosa la propria immagine organizzativa, il proprio brand, per mostrare il proprio sostegno alle questioni di genere, mascherando però pratiche discriminatorie e traendo vantaggio dalla causa della parità di genere senza effettuare reali cambiamenti nella propria cultura aziendale e nelle procedure interne.

Il termine pinkwashing risale agli anni 2000,usato per la prima volta dalla Breast Cancer Action nell’ambito del progetto Think Before You Pink a sostegno delle imprese nella lotta contro il cancro al seno, per soli scopi economici. Sebbene stiamo assistendo a un cambiamento sociale che abbraccia la diversità a livello sociale, molte organizzazioni, partiti politici e strutture che appartengono storicamente al potere patriarcale tendono a usare il pinkwashing nei loro discorsi, campagne e pubblicità.

Questo fenomeno è particolarmente evidente nel mondo del lavoro, in cui le aziende utilizzano campagne di marketing e pubbliche relazioni per promuovere un’immagine di sostenitori dell’uguaglianza di genere, ma  mantenendo pratiche che discriminano o limitano le donne.

Analogamente, nel corso degli anni sono comparsi fenomeni simili, come quello del rainbow washing, che prevede l’utilizzo di colori arcobaleno su loghi, prodotti o siti web per segnalare il proprio supporto alla comunità LGBTQ+. Anche in questo caso, il problema è l’utilizzo di questi colori solo per conquistare una nuova potenziale clientela, senza poi effettivamente promuovere l’equità e l’inclusione delle persone che si identificano come LGBTQ +, per esempio senza includerle attivamente nella leadership o nei consigli di amministrazione o nei team esecutivi. Questo rende più difficile selezionare le Organizzazioni che proteggono attivamente gli interessi della comunità LGBTQ+ creando degli ambienti di lavoro più inclusivi.

Anche l’obiettivo del pinkwashing è certamente quello di attirare l’attenzione degli stakeholders, guadagnare l’approvazione del pubblico e migliorare la propria brand reputation e avere un ritorno economico.

I rischi del pinkwashing

L’impegno quindi di chi adotta il pinkwashing è solo presunto, solo per ottenere un sostegno dalla società a convenienza.

e questo rende il fenomeno una minaccia significativa per i progressi ottenuti nel raggiungimento della parità di genere nel mondo del lavoro:

  1. Si viene a creare una falsa percezione di progresso, ingannando il pubblico e diffondendo l’idea che un’Organizzazione sia impegnata nell’uguaglianza di genere, quando in realtà potrebbe essere coinvolta in pratiche discriminatorie.
  2. Si riduce la pressione di un vero cambiamento culturale se le Organizzazioni mascherano di rosa le proprie procedure interne, solo per attività di marketing e per apparire all’avanguardia agli occhi dei consumatori e degli stakeholders. Si riduce l’urgenza e l’importanza di affrontare le vere disuguaglianze strutturali che ancora persistono nel mondo del lavoro.
  3. Viene sminuita e banalizzata la vera lotta per l’uguaglianza di genere, per ottenere condizioni lavorative paritarie.
  4. Infine, viene danneggiata la reputazione delle Organizzazioni che lo adottano, quando gli utenti finali si rendono conto che un’azienda non ha dimostrato trasparenza ed è andata contro la propria responsabilità sociale di impresa.

Come riconoscere le aziende che adottano il pinkwashing?

Riconoscere le aziende che prestano particolare attenzione alla tematica della parità di genere con serietà non è semplice.

Le aziende fanno ormai leva sui principi di inclusività come strategia di vendita, si dimostrano sensibili e aperti nei confronti delle minoranze. Anzi, per incontrare il favore dell’opinione pubblica e non uscire dal mercato, molti brand si trovano obbligati a mostrarsi a favore di determinate cause..

Come accorgersi dunque se questo impegno è reale o solo di facciata?

L’utente che intende effettuare acquisti consapevoli, senza cadere nella trappola del pinkwashing, può:

  1. Verificare che negli stabilimenti – anche in altri paesi – in cui l’azienda produce ci sia un reale rispetto dei diritti delle donne e di tutti i generi in senso ampio
  2. Verificare che all’interno dell’azienda gli stipendi siano effettivamente allineati per colmare il gender pay gap
  3. Verificare che anche chi rappresenta il brand sia in linea con quanto sta comunicando

Le aziende hanno un ruolo importante nell’educazione dei propri consumatori e, attraverso le proprie campagne, possono contribuire alla sensibilizzazione del pubblico.

Ma il pinkwashing non va necessariamente demonizzato. Pur partendo da presupposti eticamente discutibili può avere un risvolto positivo se proposto da un’azienda che realmente crede in questa battaglia e si impegna concretamente per questi temi.

Prima di promuovere iniziative incentrate su tematiche sociali particolarmente sentite e a favore dell’inclusione e della parità di genere, le Organizzazioni dovrebbero capire se i propri valori, le azioni che praticano nel quotidiano, la propria mission, siano effettivamente coerenti con il messaggio che vogliono trasmettere.


Uno strumento utile è il Gender Pay Gap Bot, aperto nel marzo 2021, che nei suoi oltre 6500 tweet sfrutta i dati messi a disposizione dal governo del Regno Unito per smascherare le aziende che postano contenuti DIE (Diversity & Inclusion), ritwittandoli e aggiungendo come caption “In this organisation, women’s median hourly pay is X% lower than men’s”.

Un modo semplice, eppure efficacissimo, di mostrare la distanza tra le parole e i proclami e le azioni che vengono prese all’interno della stessa Organizzazione, che vorrebbe farsi promotrice di un modello virtuoso di uguaglianza ed equità.

Esempi di pinkwashing

Il brand di fast fashion H&M, entusiasta portavoce dell’empowerment femminile, dell’inclusione e del body positive è stato accusato di sfruttare lavoratrici e lavoratori sottopagati nelle fabbriche di Bulgaria, Turchia, India e Cambogia, oltre che produttore di un’insostenibile quantità di capi di abbigliamento rapidamente destinati a essere superati.

Anche il marchio di abbigliamento svedese Dior ha prodotto e realizzato una serie di magliette con la scritta We Should All Be Feminists (“Tutti dovremmo essere femministi”), magliette realizzate da dipendenti che lavorano in Asia in condizioni di sfruttamento e con una paga misera.

Ci vuole onestà e seria partecipazione da parte delle aziende. Sfruttare il pinkwashing e mascherare certi comportamenti, non solo fornisce un pessimo esempio ma rischia di far perdere totale credibilità agli occhi dei consumatori.

Buone pratiche di parità di genere in ambiente

Non tutte le aziende vogliono sfruttare il pinkwashing: molte Organizzazioni si adoperano realmente con le proprie politiche e procedure interne per favorire un ambiente dove la parità di genere viene rispettata e rappresenti un valore aggiunto.

Possiamo fare alcuni esempi pratici:

  1. Promozione delle donne in posizione di leadership: identificazione e selezione di talenti femminili, creazione di piani di successione per le donne, promozione di una cultura aziendale che valorizzi e supporti le donne nella loro crescita professionale
  2. Politiche di congedo parentale e supporto alla genitorialità: congedo parentale più esteso rivolto ai padri e alle madri, per un equo accesso alla cura dei figli e delle figlie, per favorire una maggiore condivisione delle responsabilità familiari. Voucher per servizi di assistenza all’infanzia.
  3. Percorsi di formazione sulla consapevolezza di genere: sensibilizzare attraverso la formazione il proprio personale, per promuovere una cultura aziendale inclusiva e rispettosa.
  4. Iniziative per il work life balance: introduzione dello smart working per promuovere un migliore equilibrio tra lavoro e vita personale, orari di lavoro flessibili per evitare che le donne possano richiedere il part time.

Che cos’è la certificazione della parità di genere e perché fa bene alla tua azienda

La prassi di riferimento UNI/Pdr 125:2022 definisce le linee guida di un sistema di gestione per la parità di genere attraverso indicatori prestazionali KPI. Viene prevista la misura, la rendicontazione e la valutazione dei dati relativi al genere nelle organizzazioni con l’obiettivo di colmare i divari di genere attualmente esistenti e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo. La certificazione della parità di genere si propone quindi di promuovere e tutelare le diversità e le pari opportunità sul luogo di lavoro, come valore aggiunto per tutte quelle Organizzazioni che vogliono dimostrare la propria Responsabilità Sociale di Impresa.

La parità di genere non è solo un obiettivo etico, ma anche una necessità economica e sociale. Le donne rappresentano metà della popolazione mondiale e possiedono talenti, abilità e conoscenze che sono fondamentali per lo sviluppo sostenibile di qualsiasi società. L’accesso delle donne a opportunità lavorative paritarie non solo favorisce la loro crescita personale, ma contribuisce anche a migliorare l’economia e la società nel loro complesso. La diversità di genere nei luoghi di lavoro porta a un maggior livello di creatività, innovazione e produttività, e favorisce un clima di lavoro più inclusivo.

Per le Organizzazioni che si certificheranno sono previsti annualmente sgravi fiscali e premialità nella partecipazione a bandi di gara italiani ed europei. Sono stati stanziati anche dei contributi per sostenere economicamente le aziende che decidono di certificarsi, sia a livello nazionale sia a livello regionale.


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